Settembre 26, 2024 0 Comments Fratelli di Vino

Barbaresco, il Principe

“ Le colline di Langa e gli uomini di Langa mi confermano nell’idea che qui la natura si manifesta nella sua arcana indifferenza per le nostre misere storie e da agli uomini che ci vivono e che ci abitano quanto occorre di follia per sopportarla (…) Che cosa ha  la Langa per essere così differente…ha qualcosa dentro, come delle radiazioni, come degli umori unici per cui tutto qui è più forte, più unico, il tartufo come le tome, la cacciagione come il vino, le arie come i colori…”

(Giorgio Bocca)

Le Langhe sono uno dei territori del vino più famosi   nel mondo, grazie ai due vini che più di altri la contraddistinguono: il Barolo e il Barbaresco, il Re e il Principe. In verità questa terra meravigliosa,  che per me non ha pari in Italia, è molto ma molto di più: è un luogo dell’anima, della passione e dell’eccellenza.

Grandi scrittori come Beppe Fenoglio, Cesare Pavese e Giovanni Arpino e tanti altri grandi personaggi del mondo economico-industriale e culturale hanno tratto ispirazione e coraggio da questa terra così speciale.

Potrei dire che proprio l’eccellenza è ciò che la caratterizza più di ogni altra. Una qualità simbiotica che unisce una natura senza pari ad uomini e donne che sembrano nascere dalle sue viscere, tanto da farne un unicum difficilmente riproducibile in altri luoghi.

Sono un esaltato delle Langhe, e del Barbaresco in particolare ?  Si, lo ammetto, lo sono.

E’ una storia lunga, quella tra me e il Barbaresco, la storia di una vita.

Ero un giovane universitario della Sapienza di Roma e provai, come si suol dire, “a fare colpo” su una giovane e avvenente ragazza ordinando, in una delle poche enoteche di allora, un Barbaresco di Gaja.

 Anche in quei tempi era un vino molto caro, tant’è che l’oste mi chiese ben due volte se fossi sicuro del nome del vino ordinato. Il “tentativo di colpo” andò a vuoto…tranne che sul mio portafoglio.

In verità ne sono orgoglioso ancora oggi, quando ricordo  l’oste che mi confessò come in quell’anno solo altri due clienti chiesero lo stesso vino, sconosciuto ai più della mia città.

La storia del Barbaresco,  in genere la storia dei grandi vini, è un intreccio fra territorio, paesaggi e, inevitabilmente,   biografia di grandi uomini. Il territorio si estende poco più a Sud di Asti e di Alessandria,  nella provincia di Cuneo sino all’Appennino Ligure, con Alba come epicentro.

Le colline sono imponenti ma hanno sempre qualcosa di lieve e di dolce nell’aspetto, probabilmente determinato dal fatto che sono interamente coltivate e vitate.

Il nebbiolo è il vitigno “nobile” del Piemonte, dal quale si ricavano vini celebri in tutto il mondo come il Barolo e il Barbaresco ed altri nel Nord del Piemonte, come il Ghemme e il Gattinara o il Valtellina in Lombardia. E’ il massimo della sua estensione territoriale, poiché il nebbiolo è un vitigno “scorbutico”, non ama andare lontano.

Le Langhe e il Tanaro, sono in realtà, la madre e il padre del nebbiolo e, a quanto pare, il figlio non vuole andarsene “fuori di casa”.

A parte le battute, questa unione di ferro è determinata da una sorte di ottimale congiunzione astrale  fra clima, territorio, orografia e acque che hanno realizzato un ambiente pedoclimatico che rasenta la perfezione e che rende tale vitigno, il nebbiolo, inimitabile.

Altre caratteristiche di questo smorfioso vitigno è che ha il “ciclo vegetativo” più lungo di ogni altro vitigno piemontese, ossia gemma per primo e matura per ultimo. Ama il sole e quindi i versanti migliori delle colline, non troppo in alto, per evitare il vento che  a volte scende impetuoso dal Monviso, ma non troppo in basso perché la maturazione non sarebbe ottimale, in genere luogo più adatto al dolcetto che matura prima di tutti.

Certamente il fatto che possieda il ciclo vegetativo più lungo lo espone ai capricci  del clima, alla sua sempre più accentuata variabilità  causata del cosiddetto “cambiamento climatico”, tanto da rendere ogni annata  radicalmente diversa dalle precedenti. Tuttavia altra peculiarità di questa terra meravigliosa è di possedere una sorta di bilanciamento dei fattori climatici e territoriali, che insieme alle capacità degli uomini di Langa, alla fine rende ogni annata, se non eccezionale, nettamente al di sopra della media.

 Ma è l’ora di parlare degli uomini e delle donne del Barbaresco.

La prima volta che fu riportato in etichetta il termine Barbaresco per indicare il vino fu nel 1870, ma dobbiamo aspettare ancora undici anni, il 1891, per parlare di un uomo, Domizio Cavazza, modenese, laureato in Agraria a Milano con studi a Parigi e Montpellier, fondatore e direttore della Regia Scuola Enologica di Alba,  scuola di grande prestigio che ha promosso lo sviluppo e  la diffusione della leggenda Langhe.

Al Gavazza, che nel 1894 acquistò il Castello di Barbaresco e fondò la Cantina Sociale di Barbaresco, si deve in buona sostanza la nascita di questo grande vino.

Le vicissitudine della storia e, in primis, l’avvento del fascismo  “portarono” alla chiusura della Cantina Sociale. Bisognerà attendere ben trentasei anni, il 1958, quando un altro grande personaggio, un prete per l’esattezza, Don Fiorino Marengo, fondò la Cooperativa Produttori del Barbaresco, in ideale continuità con la Cantina Sociale fondata da Gavazza oltre sessanta anni prima.

Come spesso si dice, giustamente, è grazie alla Cooperativa Produttori del Barbaresco, data la sua capacità produttiva, che questo vino è stato conosciuto e apprezzato in Italia e nel mondo.

Ma bisogna introdurre ancora un nome e un’azienda vinicola che ha creato più di ogni altro il “mito” Barbaresco: Angelo Gaja.

Angelo Gaja, probabilmente il wine maker italiano più conosciuto al mondo, inizia nel 1961 a vinificare le proprie uve puntando da subito sul Barbaresco e sulla “qualità assoluta”,  da ottenere attraverso la conoscenza di altre enologie, in primis quella francese, e l’apporto delle più importanti innovazioni tecnico-colturali in ambito vitivinicolo.

La leggenda, il mito del Barbaresco, che  si allarga grazie alla “mano” di decine di nuove e vecchie aziende di tipo familiare, si deve in buona parte a quest’uomo divenuto simbolo del Barbaresco nel mondo.

 Nel 1966, Il Barbaresco, insieme ad altri grandi vini italiani come il “fratello” Barolo e il Brunello di Montalcino, ottiene la DOC, e nel 1980 la DOCG.

Altra importante data è il 2007, con l’introduzione, per la prima volta in Italia, della “zonazione” dei vigneti tramite le M.G.A. (Menzioni Geografiche Aggiuntive), che contraddistingue come primo il Barbaresco da tutte le altre Denominazioni italiane, le quali saranno immesse nel disciplinare: sono ben 66.

Infine, come ciliegina sulla torta e a coronamento di questa fantastica “biografia”, nel 2014 l’UNESCO dichiara le Langhe, insieme ai confinanti Roero e Monferrato, patrimonio mondiale dell’umanità.

Dopo questo breve excursus sulla storia del Barbaresco e delle Langhe arriviamo alla degustazione di alcuni fra i campioni di eccellenza indiscussi, in puro ordine alfabetico tranne l’ultimo, per ovvie ragioni.  

Ma prima però non posso non fare menzione dell’ Enoteca Regionale del Barbaresco e delle sue splendide donne che, come detto nella loro rivista, è “un luogo di prestigio dove esporre, vendere e parlare” del Barbaresco focalizzando l’attenzione sulla “informazione, divulgazione e rappresentanza” e alle quali devo la possibilità di aver condotto una degustazione  di Barbaresco presso la delegazione AIS  di Frascati.

Ed ora partiamo con i vini. Ricordo, come di solito, che le degustazioni dei vini qui riportati sono avvenute in varie circostanze e date.

Bera    –   Barbaresco Rabajà Riserva 2016

La vendemmia 2016 è stata caratterizzata da un ritardo fenologico che non ha impedito di arrivare ad una maturazione ottimale delle uve, tanto da prospettare una grande annata. Previsione ampiamente rispettata. D’altronde parliamo della M.G.A. più famosa e prestigiosa, i cui vini sono caratterizzati da grande struttura e opulenza. L’assaggio conferma queste caratteristiche nonostante sia avvenuto un po’ in anticipo rispetto alle sue potenzialità e peculiarità (acidi e tannini). Pur tuttavia presenta tutti i crismi di un grande Rabajà: opulenza, struttura, complessità. Dal 2026 farà parlare di sé, per quei pochi fortunati che l’avranno. Voto: 92

                              

Ca’ del Baio   –   B. Asili Riserva 2013

La M.G.A. Asili contende  alla Rabajà la “palma” della più prestigiosa e famosa. E’ in grado di produrre vini di grande eleganza, con un frutto delicato ma preciso e con la presenza di quasi tutte le famiglie odorose. Un estratto di finezza, caratteristica per antonomasia del Barbaresco. Questa Riserva 2013 esprime in modo magistrale tutta la complessità e ampiezza dei profumi tipici del Barbaresco: violetta, rosa, menta, ginepro, spezie a iosa e quant’altro. Tannini potenti ma nobili. Finale lunghissimo. Voto: 94

Castello di Neive –  B. Albesani Santo Stefano Riserva 2018

La M.G.A. è tra le più note di Neive, uno dei quattro comuni della DOCG, insieme a Barbaresco, Treiso e Alba. Questo vino, in particolare, è il “capolavoro” di un grande uomo di Langa che ci ha lasciati, Italo Stupino.  L’equilibrio e l’armonia fra le varie componenti, sia olfattive che gustative, lo caratterizzano in modo assoluto, lasciando in evidenza un soffio mentolato ed una elegantissima violetta. Un vino che esprime al massimo questa annata, il 2018, caratterizzata da grande equilibrio nello sviluppo e il susseguirsi delle stagioni  Dove potrà arrivare ? Sono pronto a scommettere: molto ma molto in alto. Voto: 94…per ora.

La SpinettaB. Gallina  2006

Insieme alla Albesani, Gallina è fra le più conosciute ed apprezzate M.G.A. di Neive, in special modo per l’ottima esposizione delle vigne e la qualità dei terreni. Non esprime, in genere, vini di grande struttura o opulenza, la sua cifra sono l’eleganza e la morbidezza, paragonabili alla più famosa Asili di Barbaresco. La vendemmia 2006 è stata caratterizzata da una estate calda e siccitosa, tanto che si è dovuto attendere la metà del mese di settembre per avere piogge in grado di riequilibrare il deficit idrico. Ho avuto l’opportunità e la fortuna di  assaggiare questo vino due volte: nel 2015  e nel 2024. Come spesso accade per i grandi vini, ho assaggiato 2 vini assolutamente “diversi”. La seconda volta, nel 2024, dopo 18 anni di maturazione e affinamento mi sono trovato d fronte ad uno straordinario fuoriclasse. Vino di assoluta eccellenza e armonia, con una ampiezza nei profumi difficilmente superabile, sapore che invita continuamente all’assaggio. Meraviglioso !  Voto: 96

Marchesi di GresyB. Camp Gros Martinenga Riserva 2017

La M.G.A. Martinenga ha una peculiarità, quella di appartenere ad un’unica azienda, la Marchesi di Gresy. Altro aspetto che la rende differente è quella di essere  la più “omnicomprensiva” delle qualità che contraddistinguono il Babaresco: l’unione fra l’eleganza di un Asili  con la austerità e la struttura di un Rabajà. L’annata 2017 è contraddistinta da una vendemmia anticipata e ciò nonostante, magia delle Langhe, le uve sono riuscite a raggiungere uno sviluppo completo, secondo i canoni. Questa Riserva, come già anticipato, conferma questa contemporanea presenza di finezza espressiva nei profumi all’opulenza gustativa, che realizza una armonia complessiva assolutamente mirabile e affascinante. Voto: 95

SottimanoB. Cottà 2015

Cottà è un M.G.A. di Neive che si è “fatta un nome” negli ultimi 10-15 anni. Confina con la “mitica” Rabajà di Barbaresco, dalla quale, in un certo qual modo, “assorbe” la grande struttura fondata su tannini incisivi ma mai irruenti. La vendemmia 2015 è stata anticipata a fine settembre, causa l’estrema calura estiva, ma grazie alle abbondanti piogge dei primi mesi dell’anno non vi è stato alcun deficit idrico. Risultato finale: grande annata. Si presenta con una veste ampia e sontuosa all’olfazione, nondimeno strutturato ed opulento alla gustativa. Un grande Barbaresco, che lascerà il segno ancor di più nei prossimi anni. Voto: 95

Gaja – B. Sorì Tildin 2015  

Sono in un evidente imbarazzo. Nella mia vita di degustatore AIS non ho mai dato voto 100 ad alcun vino perché non credo al “vino perfetto”, anche se riviste e personaggi perlopiù americani ogni anno ci propinano “vini perfetti” con il massimo dei voti.

Ora il Sorì Tildin è uno dei pochi vini che  potrei definire “perfetto” ma, nel contempo, mi domando se si  può dare un voto ad un  “capolavoro” ?

Che voto dare alla Primavera del Botticelli, alla Gioconda di Leonardo o alla Cappella Sistina di Michelangelo ?

Non c’è voto che possa rappresentarli perché la loro unicità, nei secoli, li ha resi ineguagliabili, e allora che fare ?

Non rimane che stare “zitti” e, come di fronte alle meraviglie della natura e dell’arte godiamo della loro visione,  lasciamoci inebriare dai  profumi ed esaltare dai  sapori. E come scrisse il Poeta “naufragar m’è dolce in questo mare” di sensazioni ed emozioni.

W il Barbaresco, il Principe dei vini !

Fratelli e sorelle di vino, alla salute !


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