Carignano del Sulcis: mediterranean essence
“Bere non è la risposta, ma bevendo ti dimentichi la domanda”
(Anonimo)
La prima volta che ho bevuto un Carignano del Sulcis è stato 6-7 anni fa, era un Rocca Rubia della Cantina Santadi, di cui non ricordo l’annata, l’impressione, peraltro, fu notevole. Non tanto per la qualità del vino numericamente espressa o intesa, quanto per la nettezza e la potenza dei profumi, una rappresentazione caleidoscopica delle essenze e degli aromi del Mediterraneo.
Certamente questa è una caratteristica di molti vini, sia italiani sia di altri paesi mediterranei, ma una definizione dei profumi così netta e così ampia non mi era mai capitata prima di allora. Altra caratteristica saliente che distingue questo vino, soprattutto nei confronti di altri vini sardi, è la ricerca di una eleganza, di uno stile che tenga conto sia delle sue origini insulari sia dei canoni internazionali dei vini di qualità. D’altronde, forse l’ espressione massima del Carignano, il Terre Rosse, sempre della Cantina Santadi, è stato il frutto della ricerca, della esperienza, della bravura di un autentico fuoriclasse, il re degli enologi italiani, Giacomo Tachis, il quale è riuscito con questo vino a porre all’attenzione del mondo enologico le potenzialità di un vitigno che sino ad allora non aveva mai avuto, specie in ambito internazionale, una buona reputazione, come, in genere, non l’avevano vitigni come il negroamaro e il primitivo sino a 10-15 anni fa.
L’unica differenza fra i due vini-vitigni pugliesi e il carignano è che quest’ultimo non può vantare una pari estensione e produzione, una quantità in grado di imporsi sul mercato; in buona sostanza si tratta di un prodotto di nicchia, per appassionati, per amanti del vino raro, non omologo e di qualità.
Basti pensare che, dati 2011, il Carignano del Sulcis rappresenta con i suoi 23 mila hl, non più del 9% della produzione dei vini DOC sardi, mentre il Cannonau e il Vermentino, rispettivamente, rappresentano il 30% e il 45% dell’intera produzione.
Dicevo, sin dal titolo, che il carignano è una vera e propria sintesi della natura mediterranea, tanto è vero che secondo autorevoli esperti del settore sarebbe stato coltivato da illo tempore nella parte occidentale del Mar Mediterraneo (Spagna, Francia, Algeria, ecc) e probabilmente introdotto in Sardegna, nella zona del Sulcis, dai Fenici che, ancor prima dei Greci e dei Romani, hanno navigato in tutto il bacino del Mare Nostrum, dominandolo e influenzandolo sotto ogni punto di vista.
A dire il vero c’è un’altra tesi, peraltro ugualmente attendibile, per la quale ad introdurre il carignano sull’Isola sarebbero stati gli Spagnoli durante la loro dominazione; non a caso i sardi chiamano quest’uva axina de Spagna, ovvero “uva di Spagna”. Altro aspetto rilevante e distintivo del carignano è che ancora oggi viene coltivato “franco di piede”(nell’isola di Sant’Antioco e non solo), poiché in questo tipo di terreno, perlopiù sabbioso, la fillossera non ha provocato e non provoca danni; mentre la forma di allevamento più diffusa è quella ad alberello, anch’essa la più antica e tipica del Mediterraneo, ottima per terreni poco fertili, e resistente sia alla siccità che ai forti e salsi venti marini.
Finalmente arriviamo alla degustazione di questo nettare mediterraneo. Ho preso in esame 3 vini di altrettante aziende.
Primo: noblesse oblige, il Terre Brune Superiore della CANTINA SANTADI, annata 2008, gr. 14,5%, che la critica, quasi all’unanimità, considera il Carignano del Sulcis per antonomasia, the champion. Indubbiamente un grande vino: colore bellissimo, fra il rubino e il granato, profumi intensi di macchia mediterranea, pepe nero, cannella, china, tannini setosi, tutto in perfetto equilibrio, persistenza infinita. Una sola parola: eccellente.
Secondo: Is Arenas Riserva di SARDUS PATER, annata 2008, da vigne dell’isola di Sant’Antioco (e non a caso). Colore ancora rubino con accenni, all’unghia, di granato; all’olfazione sembra quasi di percepire non solo il profumo del mare ma la forza del vento e il pizzicore della salsedine, mai accaduto prima per un vino rosso. Un gran vino, più “selvaggio” del precedente, forse meno raffinato ma assolutamente seducente tanto da farmi credere che questa possa essere il “carattere” del carignano del sulcis.
Terzo: ‘Aina Riserva di CANTINA DI CALASETTA, annata 2008, sempre isola di Sant’Antioco, la più antica cantina del carignano del sulcis. Il termine àina, nella lingua tabarchina (lingua simile all’antico dialetto genovese, “portata” dai coloni liguri che fondarono le comunità delle Isole di S.Pietro e S.Antioco, con una “storia” tanto affascinante quanto complessa), significa sabbia, ovvero l’elemento che caratterizza tutti (quasi) i suoli delle vigne del carignano. Vino anch’esso bellissimo nel colore, rubino profondo tendente al granato, dai profumi tanto intensi e persistenti quanto caratteristici del vitigno (spezie, erbe aromatiche, macchia mediterranea). Vino (bevuto in casa di amici a Roma, sardi di origine) che sembra quasi una mediazione tra la raffinatezza e la potenza rappresentata dai due vini che lo precedono.
Auguro al carignano del sulcis e ai suoi produttori di continuare sulla strada intrapresa: veramente un gran bel bere. Che altro dire……
Alla salute, fratelli.
0 Comments