Guarda Frascati, ch’è tutta ‘n soriso…..
“Polvere sei e polvere tornerai, ma tra una polvere e l’altra un buon bicchiere di vino non fa mai male”
(Proverbio Yiddish)
E’ inutile girarci intorno e far finta di niente, per chi è nato a Roma (come me), la “questione Frascati” (e in generale i vini dei Castelli Romani), è una questione importante. Perché è il vino di Roma e con essa è identificato, e l’identificazione con Roma non ha fatto e ancora non fa bene ad entrambi.
La reputazione dei “consumatori” romani di vino è sempre stata bassa, accompagnata spesso da esternazioni legate alla visione degli stessi come crapuloni, festaioli e simpatici scansafatiche (v. la canzone “la società dei magnaccioni”).
Il vino di Frascati e dei Castelli Romani: bianco, beverino, di basso grado alcolico e di basso prezzo, pieno di solfiti, questa è la sua carta d’identità.
In realtà, il vino di Frascati è proprio figlio di Roma, ovviamente di Roma contemporanea, nasce all’inizio del secolo passato (prima erano i vini rossi a farla da padrone) quando comincia la vera e propria espansione urbanistica della Città Eterna, con le prime periferie e le migliaia di immigrati provenienti, per lo più, dal Centro e dal Sud d’Italia.
Centinaia di migliaia di persone, in gran parte povere, operai e piccoli artigiani, o comunque appartenenti alla nascente borghesia piccola piccola degli impiegati pubblici. I soldi da spendere erano pochi, il vino, come in quasi in tutta la nazione, era un alimento per inglobare le calorie “mancanti”, causa il magro desco quotidiano.
Nonostante il poderoso sviluppo economico degli anni ’60 e ’70, tutto è rimasto così sino a 15-20 anni fa, quando inizia la “rinascita enoica” dell’Italia e con essa un vero e proprio “movimento culturale”, fondamentalmente interclassista, teso alla riscoperta e alla valorizzazione dell’immenso e, per certi versi, unico patrimonio enogastronomico del Bel Paese.
Numerose sono le associazioni sorte in questo periodo o precedenti ad esso che hanno cercato di “gestire, dirigere e sviluppare” questo movimento, (A.I.S., Slow Food, Gambero Rosso fra le più note) ed anche grandi personalità, sia nel mondo della produzione (si pensi a Gaja, Antinori, Dal Forno, Valentini e le decine e decine di piccole e grandi produttori di vino o ad enologi del calibro di Tachis, Cotarella, Caviola, Rivella ecc.), sia nel mondo della comunicazione (uno su tutti il grande e compianto Veronelli). Troppi sarebbero i nomi (per fortuna !) che meriterebbero una citazione ma alla fine è la somma che fa il totale, come direbbe Totò, per cui è la stessa massa di appassionati enofili che ha, finalmente, posto al centro dell’attenzione e del dibattito la cultura del vino, del bere buono e moderato, generando un grande apporto economico e sociale all’intera nazione.
Scusate il pistolotto, ma credo giusto almeno una volta sottolineare questo importante fenomeno culturale. Ma veniamo a noi.
Ricapitolando: serviva alle masse che popolavano e ingrandivano Roma oltre ogni misura, specie dopo il secondo dopoguerra, un vino prodotto in grande quantità, di basso prezzo e di poche pretese dal punto di vista qualitativo. Il Frascati, in particolare, e i vini dei Castelli Romani, in generale, generati in gran parte dal trebbiano toscano (vitigno tanto produttivo quanto “anonimo”) sono serviti a raggiungere questo scopo.
Il Lazio come regione vinicola (e la zona dei Castelli Romani) è partita in grave ritardo rispetto alle altre regioni italiane ed ancora oggi paga “dazio” persino nei confronti di quelle meno blasonate. Non parliamo, ovviamente, di Piemonte, Toscana o Friuli, poiché il confronto sarebbe impari, parliamo di Umbria, Marche, Abruzzo, Campania, finanche la Basilicata: reputo ognuna di queste regioni, in una qualche misura, superiori qualitativamente alla regione Lazio.
Di chi è la colpa ? Al di là dei dati oggettivi dianzi citati, non v’è dubbio che le “istituzioni locali” hanno fatto poco in questi anni per valorizzare il patrimonio enogastronomico laziale, anche se qualcosa qua e là sembra, per fortuna, andare in controtendenza. E’ bene sottolineare, peraltro, che la parte del “meno peggio” spetta proprio alla città di Roma e al territorio circostante, che qualcosa ha certamente fatto anche se, a volte, è stato solo “glamour”. Le altre province del Lazio appaiono in grave ritardo nella promozione del vino e della sua cultura.
Un dato di fatto, positivo, deve comunque essere messo in risalto: dal 2011 il Frascati Superiore (e la sua versione “dolce” il Frascati Cannellino) è divenuto una DOCG. Per quanto di per sé la DOCG non sia sinonimo di alta qualità (alcune DOCG sono un autentico scandalo !), senza ombra di dubbio la DOCG è un “incitamento” a migliorare lo standard medio della produzione.
Nell’ultimo quinquennio, con o senza DOCG, la qualità è nettamente migliorata e ciò è stato ribadito dalla critica più attenta e riscontrato dai consumatori più avveduti.
Entriamo nel merito, per cui prederemo in esame ben sei case produttrici di Frascati.
La prima azienda di cui vogliamo parlare è la CANTINE CONTE ZANDOTTI, di proprietà dell’omonima famiglia, è una delle più antiche e famose aziende produttrici di Frascati, negli ultimi anni ha riscosso un successo di critica il vino Rumon, un bianco IGT a base di malvasia puntinata in purezza. Il suo Frascati Superiore 2011 (*), di gr. 13,5%, ha un colore paglierino scarico, con gradevoli profumi floreali (gelsomino, acacia) e fruttati (mela, bergamotto) e spiccate sensazioni minerali. Al palato è fresco, come conviene, sapido quasi salmastro. Un tipico e ottimo Frascati.
La seconda è CASALE MARCHESE, di proprietà della famiglia Carletti, anch’essa è un’antica azienda e il suo vino di punta è il Frascati. Abbiamo degustato il Frascati Superiore 2011, di gr. 13%, e ci ha deliziato con i suoi intensi profumi floreali e di erbe aromatiche e in bocca con la sua freschezza e sapidità, gustosamente persistenti. Frascati ottimo, rispettoso dei “canoni”.
La terza è CASTEL DE’ PAOLIS, di proprietà di Giulio Santarelli, senza ombra di dubbio una delle migliori aziende produttrici di Frascati, che non soltanto ha valorizzato ma prima di altre ha “sperimentato” i vitigni internazionali (chardonnay, sauvignon, viognier , semillon, sirah, merlot, cabernet sauvignon) ottenendo ottimi risultati tanto da “oscurare” il suo Frascati in questi ultimi anni, si pensi all’eccellente Donna Adriana, al Muffa Nobile o al Quattro Mori. Comunque sia, il Frascati Superiore 2011 è un ottimo vino che, però, non raggiunge le vette di quelli sopra nominati, risulta floreale e fruttato quanto basta, fresco e sapido nella norma.
La quarta è PRINCIPE PALLAVICINI, di proprietà dell’omonima famiglia, che similmente ad altri produttori sta dando un particolare rilievo all’utilizzazione della malvasia puntinata, sia in purezza come per lo Stillato, bianco dolce IGT, sia con “tagli” di oltre il 70% come per il Frascati Superiore Poggio Verde 2011, di gr. 13,5%. Un Frascati che più tipico non si può: giallo paglierino scarico, pesca bianca, rosa rosa, erbe aromatiche ma soprattutto nell’assaggio rivela la freschezza e le note agrumate che rendono questo vino “il Re dei vini glu-glu”.
La quinta è POGGIO LE VOLPI, di proprietà di Felice Mergè, la cui produzione è costantemente migliorata in questi ultimi anni, grazie alla ferma volontà di valorizzare i vitigni autoctoni del Lazio come il cesanese e il nero buono, oltre alla già menzionata malvasia puntinata che in unione con quella di Candia rappresenta il 90% del Frascati Superiore Epos 2011, di gr. 13%. Ottimo e tipico anch’esso con una maggiore prevalenza, rispetto ai precedenti, di note floreali delicate e di frutta esotica, consueta freschezza e sapidità all’assaggio.
Sesta ed ultima azienda è FONTANA CANDIDA, la più grande della zona Frascati con i suoi 5 milioni di bottiglie prodotte, di proprietà di un altro gigante, il Gruppo Italiano Vini. Da qualche anno produce un cru, il Frascati Superiore Luna Mater, di cui, come per gli altri,abbiamo degustato la versione del 2011.
Anche qui abbiamo una preponderanza di malvasia puntinata e di Candia (80%). Questo vino ha ricevuto numerosi elogi da parte della critica ed anche per me è un ottimo vino che sfiora l’eccellenza: ho solo un dubbio. Un Frascati di gr. 14,5% è ancora un Frascati o comincia ad essere qualcos’altro. Se il riconoscimento della DOCG porterà dei cambiamenti con la realizzazione di vini più strutturati e complessi, il Luna Mater avrà fatto da apripista, se ciò non accadrà rimarrà “isolato” a rappresentare una sorta di Frascati border line. Comunque sia…
Alla salute, fratelli.
(*) Come già fatto in altre occasioni ho voluto confrontare vini della stessa annata; in questo caso il 2011 perché è l’ultimo anno della DOC, in modo da poterli paragonare con quelli degli anni successivi prodotti in regime DOCG e, quindi, valutare se vi è stato quel miglioramento qualitativo atteso ed auspicato.
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