Il Verdicchio visto da un .. balcone
Luglio 2004. Dopo la interminabile e terribile estate del 2003, spinto dal desiderio di non dover più soffrire le pene dell’inferno – nel vero senso della parola vista la temperatura di Roma costantemente sopra i 35°C a luglio ed agosto e mai sotto i 30°C a giugno e settembre, e di “contorno” un tasso di umidità di oltre il 90% -, decisi di passare un paio di settimane in un luogo in cui fosse garantita perlomeno la frescura notturna, ventilazione e basso tasso di umidità. La località fu scelta a cena, in casa di amici originari delle Marche, che conoscendo la mia insofferenza nei confronti del caldo afoso, mi consigliarono di fare una vacanza a Cingoli, grazioso paese in provincia di Macerata, disteso su una collina, altitudine 600 metri, conosciuto come il balcone delle Marche.
Per onestà intellettuale devo dire che a farmi prendere quella decisione non fu solo la possibilità di godere di un ottimo clima ma anche l’opportunità di poter conoscere de visu le aziende vitivinicole produttrici del Verdicchio. Infatti, il balcone delle Marche, Cingoli, ha come scenario principale, direttamente ai suoi piedi, i Castelli di Jesi ovvero i paesi e le colline dove si produce questo vino straordinario che, proprio dieci anni fa, ha cominciato una luminosa “carriera” che lo vede fra gli attori principali della rinascita enoica italiana.
Ho parlato di vino straordinario ma, forse, sarebbe giusto dire vitigno straordinario perché ancor più della qualità del vino bianco che se ne trae, ciò che caratterizza il vitigno è la sua poliedricità o, per meglio dire, versatilità di impiego. Mi spiego. Credo che nessun altro vitigno autoctono a bacca bianca abbia la capacità come il verdicchio di poter realizzare vini bianchi fermi, di pronta beva o di grande struttura e longevità, vini spumanti ricchi di profumi e di finissimo perlage, persino vini dolci passiti di grande piacevolezza. A livello internazionale l’unico vitigno, da tutti riconosciuto, con questa versatilità è il famosissimo chardonnay. Non penso di dire castronerie se lo chardonnay “italiano”, oggi, è e sarà ancor di più in futuro il verdicchio. L’unico problema potrebbe essere, come spesso accade ai nostri vitigni, l’incapacità di esprimere lo stesso livello qualitativo fuori del territorio d’origine per cui verrebbe drasticamente ridotta la possibilità di produrre, quantitativamente e qualitativamente, dei vini in grado di competere sui mercati internazionali.
Nondimeno ritengo fermamente giusto, necessario e comunque proficuo insistere e persistere, da parte delle aziende jesine, sulla produzione e sullo sviluppo qualitativo sia di vini spumanti con metodo classico sia di passiti.
Ritornando alle vacanze estive trascorse a Cingoli nel 2004, ricordo con piacere quando nei ristoranti e nelle trattorie, tutte di qualità o quantomeno dignitose, bevendo spesso dei Verdicchio (ma anche Conero e Rosso Piceno) mi fu presentato la prima volta uno spumante, esattamente un Brut dell’azienda BONCI di Cupramontana, zona dei Castelli di Jesi che sembra possedere una particolare vocazione per gli spumanti. Grazie all’insistenza del cameriere – perché, a dire il vero, non ero affatto convinto che uno spumante di qualità potesse uscire dal verdicchio – ho potuto assaggiare, conoscere ed apprezzare un prodotto che fuori della regione Marche era, perlomeno allora, assolutamente sconosciuto.
Colsi subito l’occasione per visitare l’azienda BONCI, conoscere la famiglia e l’intera gamma dei vini (tutti a base verdicchio) prodotti: la qualità era ampiamente diffusa, fra tutti i vini, oltre allo spumante, emergeva il crù San Michele, fra i migliori verdicchio della denominazione in grado di unire potenza e raffinatezza, di cui ho potuto di nuovo apprezzare e confermare le qualità nella versione dell’annata 2010. Incuriosito cercai di scovare altri verdicchio spumante e trovai andando su e giù per le colline jesine, sempre nella zona di Cupramontana, la cooperativa COLONNARA che, forse, realizza fra gli spumanti la versione migliore: provate per credere il Brut Metodo Classico Ubaldo Rosi Riserva 2006.
Dal 2004 ai giorni nostri sono passati dieci anni, e in questi anni non ho fatto altro che assistere al continuo e costante successo, fra “gli amici e i fratelli” e gli “addetti ai lavori”, del verdicchio come vino in tutte le sue declinazioni e, fra queste, il passito che, addirittura, sta raccogliendo più fans dello spumante. Sinceramente io stesso non so da che parte stare e passo dall’una all’altra secondo le emozioni che, di volta in volta, le bevute e le degustazioni riescono a darmi. Fra queste non posso dimenticare quanto provato, tre o quattro anni fa, ad una degustazione casereccia in una piccola osteria di un paesino abbarbicato sopra la Valle dell’Aniene. Si discuteva di verdicchio e spumanti, quando uno dei ragazzi della festosa combriccola ci portò un passito da uve verdicchio e precisamente Arkezia Muffo di San Sisto (l’annata non la ricordo) della arcinota azienda marchigiana FAZI BATTAGLIA.
Debbo dire che non ero molto convinto della proposta e, ancor di più, delle lodi tessute dal ragazzo, ma mi dovetti subito ricredere. Certamente non può rivaleggiare con l’opulenza e la potenza dei passiti siciliani ma credo che questo non sia il “suo” obiettivo. Infatti, l’eleganza, a partire dalla originalissima forma della bottiglia, la finezza e la leggiadria sono l’impronta digitale di questo vino passito o, per meglio dire, muffato, dato che il suo bouquet è dovuto in gran parte alla Botritis Cinerea, la cosiddetta “muffa nobile”, che colpisce le uve con le quali viene prodotto migliorandone le caratteristiche organolettiche. Come vien detto nel sito internet dell’azienda, vengono scelti “solo i grappoli che presentano un attacco di muffa superiore al 50%”, tutti raccolti a mano e in “ben dieci passaggi” iniziando la raccolta dai primi di novembre. Spero di non essere suggestionato, ma sia le tecniche di produzione che le qualità organolettiche rendono possibile un accostamento tra questo vino e i migliori Sauternes.
Ma se una rondine non fa primavera devo dire che tre possono indicare l’arrivo della buona stagione, ed infatti dopo quella degustazione ho avuto la possibilità, grazie alla generosità di alcuni fratelli di vino di bere ed apprezzare (moltissimo !) altri due passiti da uve verdicchio, ora abbastanza conosciuti: il primo è il Tordiruta 2008 della MONCARO, l’azienda cooperativa più grande della regione, con vinificazione del tutto simile al passito-muffato della FAZI BATTAGLIA, che mostra un’estrema nitidezza nei profumi e un invidiabile equilibrio gustativo raggiunto con una delicata dolcezza e morbidezza, da una parte, e una giusta sapidità e freschezza dall’altra, tanto da rendere irrefrenabile il desiderio di un nuovo assaggio;
il secondo è il Bambulè 2010 (mi pare) della FATTORIA CORONCINO, azienda cult a conduzione biologica e biodinamica, dal colore giallo oro, di grande struttura e squisita dolcezza compensata da una sapidità quasi salmastra, ampio nel bouquet. Che dire ? Nient’altro che è un bel bere, e che di Verdicchio, passiti, spumanti o fermi e di grande livello ve ne sono molti, non mancherà l’occasione di parlarne, ma per ora ……
Alla salute, fratelli.
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