ORVIETO, the etruscan wine
Si può bere troppo, ma non si beve mai abbastanza.
(G. E. Lessing)
Sinceramente non ricordo quando e in quale occasione ho bevuto la prima volta il vino di Orvieto, ma è molto probabile che sia accaduto intorno gli anni dell’adolescenza, oltre 40 anni fa, e in qualche trattoria casereccia dell’Umbria.
Rammento, peraltro, bene l’impressione che ne ebbi, ovvero di assoluta piacevolezza: era un vino abboccato, un vino con un minimo residuo zuccherino ma tale da renderlo facile, piacevole, glù-glù, insomma usate l’aggettivo che più vi aggrada. Nel tempo questa tipologia di vino, peraltro rarissima nei disciplinari DOC-DOCG, è stata fatta bersaglio di un’aspra quanto infondata critica negativa, al solito modaiola, per cui un vino bianco di qualità non può che essere secco, ultra-fresco e sapido o all’opposto dolcissimo, muffato o passito. Ho avuto sempre dei dubbi in proposito, ma confesso che “pubblicamente” non li ho mai espressi, penso sia venuto il momento giusto per farlo.
Il vino bianco di Orvieto è il vino degli Etruschi per antonomasia, e in antichità anche presso i Greci, la fama di Orvieto era legata al vino, infatti il termine con cui era chiamata “Oinorea”, significa “la città dove scorre il vino”.
Gli Etruschi crearono un sistema di vinificazione incentrato sulle caratteristiche del materiale “usato”, ovvero il tufo, entro cui scavarono delle grotte (molte delle quali esistono tutt’oggi) realizzando delle cantine su tre livelli. Nel primo livello, quello del suolo, veniva portata l’uva per essere pigiata e il mosto che se ne ricavava, per mezzo di apposite tubature di coccio, si faceva scendere nel locale sottostante (secondo livello) in cui avveniva la fermentazione; in seguito, dopo la svinatura, il vino veniva trasferito in un ulteriore locale sottostante (terzo livello) dove poteva lentamente maturare e conservarsi più a lungo possibile.
La conservazione a bassa temperatura nelle grotte di tufo favoriva il mantenimento di una minima percentuale di zuccheri di modo che il vino ottenuto risultava abboccato, spesso con un lieve residuo di carbonica. Questa tipologia di Orvieto fu, per molti secoli, quella preferita e maggiormente prodotta.
La fama del vino di Orvieto parte dall’epoca etrusca (in cui fu il vino più rappresentativo) e romana per giungere sino all’epoca medioevale e rinascimentale, e grazie anche al fatto che Orvieto fu residenza pontificia è stato definito e conosciuto come “vino dei papi”, particolarmente apprezzato da Paolo III e da Gregorio XVI, il quale, addirittura, espresse la volontà che il suo corpo fosse lavato con questo vino prima di essere sepolto.
Il Prof. Giorgio Garavini, funzionario del Ministero dell’Agricoltura, negli anni ’30 del secolo passato mise in rilievo come il tipo abboccato fosse l’Orvieto per antonomasia, descrivendone “il profumo aggraziato, la limpidezza, il colore giallo oro, il dolce gradevole, il leggero frizzante….”; ma lentamente, nel corso del XX sec., comincia ad aumentare la produzione dell’Orvieto secco, sia per andare incontro alle nuove richieste del mercato, soprattutto estero, sia per utilizzare in modo congruo le peculiarità organolettiche dell’Orvieto, in primis l’acidità delle uve, in modo da dare maggiore stabilità al vino, a volte mancante nella tipologia abboccato.
I vitigni base dell’Orvieto sono il trebbiano toscano, in loco procanico, e il grechetto per una percentuale minima, nell’insieme, del 60%, per la rimanente parte possono essere impiegati malvasia, drupeggio, verdello ecc. o anche internazionali come lo chardonnay. Il territorio della DOC comprende tutto l’areale intorno ad Orvieto (Baschi, Ficulle, Porano, Castel Giorgio, Allerona), in provincia di Terni, e la parte confinante del Lazio con Castiglione in Teverina e Civitella d’Agliano, in provincia di Viterbo. L’altimetria dei terreni va dai 100 ai 500 m.s.m. e per i nuovi impianti è richiesta una densità non inferiore ai 3.000 ceppi per ettaro. La produzione annuale si aggira intorno ai 130/150 mila ettolitri, e da sola rappresenta il 75% della produzione dei vini DOC dell’Umbria. Metà della produzione è consumata in Italia, l’altra all’estero: i maggiori importatori sono la Germania, il Regno Unito , gli USA, il Canada e il Giappone.
Prima di procedere alla degustazione, desidero esprimere il mio auspicio affinché l’Orvieto abboccato, ovvero l’Orvieto classico per eccellenza, ritorni ai fasti del passato, ma ciò potrà accadere solo se una parte cospicua della produzione sceglierà questa tipologia di vino; fra l’altro, sia detto per inciso, è l’unico vino, mi prendo tutta la responsabilità del giudizio, che può abbinarsi in modo sufficientemente armonico con piatti che hanno come base il carciofo.
Nella degustazione del vino di Orvieto ho scelto 4 vini secchi: perché non ne ho trovati di abboccati e perché questo è ormai universalmente, ahimé, il vino di Orvieto.
Orvieto Classico Superiore Luigi e Giovanna 2009 di BARBERANI, gr. 13,5%, di colore dorato (20% di presenza di chardonnay si fa vedere), profumi e sapori che esaltano soprattutto la freschezza e la sapidità che non appare invadente poiché bilanciata da una evidente morbidezza. 30 mesi di affinamento fra botte e bottiglia. Tiratura limitatissima: poco più di 2 mila bottiglie !!! Vino eccellente.
Orvieto Classico Superiore Campo del Guardiano 2010 di PALAZZONE, gr. 13,5%, di colore quasi dorato, emergono note di frutta matura giallo-arancione (albicocca, pesca, pompelmo rosa), ginestra e acacia. Fresco e minerale, abbastanza morbido. Affinamento in acciaio e bottiglia per oltre 30 mesi. Vino assai gradevole. Fra l’ottimo e l’eccellente.
Orvieto Classico Superiore Il Bianco 2011 di DECUGNANO DEI BARBI, gr. 13,5%, di colore paglierino, erbaceo e floreale in primis, seguono note gradevoli di frutta bianca, anche qui freschezza e mineralità la fanno da padroni. Solo acciaio. Vino ottimo.
Orvieto Classico Vigneto Torricella 2011 di BIGI (la casa vinicola che ha fatto conoscere l’Orvieto in Italia e nel mondo), gr. 13%, di colore paglierino, aromi freschi di agrumi e fiori bianchi di campo. Fresco e sapido, poco morbido, nota minerale in sottofondo. Vino fra il buono e l’ottimo.
Che dire, vini molto buoni, perlomeno quelli degustati ma non hanno quella peculiarità che avrebbero se fossero tutti e quattro abboccati, come dovrebbe essere il vero Orvieto, un vino diverso dagli altri, un vino……etrusco.
Alla salute, fratelli.
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