Enotria, il paradiso perduto
“Un amico nuovo è come il vino nuovo: invecchierà e lo berrai con delizia.”
(Ecclesiaste)
Enotria, come ben si sa, è il termine con cui gli antichi Greci indicavano gran parte dell’odierna Calabria, e il suo significato è “terra del vino”.
Questo sta ad indicare che per i Greci questo territorio rappresentava “il” luogo di eccellenza per la produzione del vino, fino al punto di divenire così importante e ricercato da essere offerto ai vincitori delle Olimpiadi che si svolgevano in Grecia ogni quattro anni. Quel vino si chiamava “Krimisa” ed era ottenuto da uve coltivate lungo il litorale ionico della Calabria, più o meno corrispondente alla zona di produzione dell’attuale Cirò.
Il vino che si produceva era considerato, per i gusti di allora, quanto di meglio ci fosse in circolazione, ma il vino di Enotria non era solo molto buono era anche tanto, infatti è ormai storicamente accertata l’esistenza di una imponente produzione di vino in Calabria, con un’ottima organizzazione commerciale alle spalle adibita principalmente all’esportazione nel mondo greco e nel resto delle coste del mediterraneo.
La storia della Calabria è una storia per lo più molto amara, triste, piena di miseria e di sopraffazioni da parte delle varie “potenze” che nel corso dei secoli l’hanno dominata e soprattutto depredata.
Dai Greci ai Romani, dai Bizantini ai Longobardi, dai Normanni agli Svevi, dagli Angioini agli Aragonesi sino alla Spagna e alla monarchia dei Borboni, si può parlare bene solo del dominio greco e di quello normanno-svevo sotto i quali la Calabria conobbe periodi di sviluppo economico e una organizzazione politico-amministrativa di buon livello. Per il resto ci fu solo decadenza economica, civile e sociale.
Dopo l’unificazione nazionale poco o nulla cambiò, la classe dei latifondisti mantenne tutto il potere reale e i relativi privilegi. All’inizio del ‘900, con l’avvento della fillossera, le rigogliose vigne di Calabria furono completamente distrutte e l’opera di reimpianto delle viti avvenne molto lentamente anche a causa dell’impressionante fenomeno della emigrazione che svuotò letteralmente le campagne, fenomeno ulteriormente aggravato, sempre nello stesso periodo, da una serie di terremoti disastrosi che diedero il colpo di grazia all’intera economia.
L’emigrazione, come in gran parte del Meridione d’Italia, si presentò come l’unica soluzione per fuggire la miseria e si diresse soprattutto oltreoceano, nelle Americhe e in Australia. Dopo la fine della seconda guerra mondiale e la nascita della Repubblica Italiana, la Calabria, grazie agli investimenti della Cassa del Mezzogiorno, ha sicuramente conosciuto una buona crescita economica, che ha interessato sia l’agricoltura che l’industria nonché il turismo ma non in modo tale da riuscire a colmare la differenza con il Nord d’Italia, al punto che si è assistito, negli anni ’60 e ’70 del secolo passato, ad un nuovo e massiccio fenomeno migratorio verso le città e le regioni del Nord del nostro Paese, fenomeno che seppur attenuato persiste tutt’ora.
Ma la peggiore “piaga sociale”, sviluppatasi nell’ultimo ventennio, è il fenomeno della malavita organizzata, la cosiddetta ‘ndrangheta, secondo alcuni la più potente delle mafie, che come una piovra sembra stritolare e comunque condizionare pesantemente l’intera società calabrese.
Chiedo scusa per questo cappello “storico” che potrà sembrare ai più fuori luogo, al contrario lo ritengo estremamente utile se non necessario per capire la grande difficoltà per le oneste e laboriose genti calabresi di fare “economia” e quindi “viticoltura”.
Oggi è difficile ovunque in Italia ma qui lo è ancora di più, per cui è con autentica ammirazione che guardo, da alcuni anni a questa parte, al “rinascimento enoico” della Calabria, soprattutto allo sforzo dei singoli produttori per produrre un buon vino, per mezzo della conoscenza di quanto di meglio si fa negli altri luoghi senza mai dimenticare le proprie radici, al fine di realizzare un prodotto non solo buono, ma “autentico” e con una sua precisa identità.
Numerose sono le DOC in Calabria, a memoria più di dieci sicuramente, nondimeno le DOP che interessano l’agroalimentare ( salumi, olio, formaggi, agrumi). Molti sono i vitigni coltivati, sia autoctoni sia alloctoni, sia nazionali che internazionali, ma certamente sono due, uno rosso, il gaglioppo, e l’altro bianco, il greco di Bianco, che hanno fatto e fanno la storia del vino in Calabria. Meritano una menzione altri due vitigni a bacca rossa, il magliocco e il nerello ed uno a bacca bianca, il mantonico, di cui avremo occasione di parlare.
Oggi desidero affrontare il vitigno e il vino più rappresentativo della Calabria, il gaglioppo e il Cirò.
Si può dire che questo vitigno e questo vino siano gli eredi legittimi dell’antico e nobilissimo “Krimisa”, del quale accennavamo nel preambolo “storico” ? Con certezza non si può dire, ma il fatto che da tempo immemore sia coltivato in questo luogo, zona jonica-crotonese, e che la stessa si possa considerare la zona “greca” per antonomasia, tutto lascia pensare che l’odierno Cirò sia l’erede legittimo del vino dato in premio ai vincitori delle antiche olimpiadi greche.
Ovviamente, sapendo come piaceva ai greci fare e bere il vino, con l’aggiunta di resina (per conservarlo) e miele (il vino dolce era preferito) e, a volte, diluito con acqua, le qualità organolettiche dell’odierno Cirò sono del tutto diverse ma il problema è un altro, ossia: può il Cirò attuale ambire a divenire un grande vino, riconoscibile per le sue qualità oppure il suo destino è quello di rimanere, come buona parte di molti vini del Sud d’Italia, ai margini della “gloria” dei grandi vini del Nord e del Centro d’Italia ?
L’unica risposta possibile che personalmente posso dare non può che passare, ovviamente, dalla degustazione di questo vino, come “interpretato” dalle varie aziende vinicole calabresi.
I vini delle sette aziende che ho esaminato li ho degustati in un arco di tempo piuttosto ampio, circa due anni, e sono di annate diverse, alcuni sono delle “riserve” altri no, ciò perché non è facile “trovarli”, fatta la debita eccezione per due o tre aziende conosciute dai più, i cui vini facilmente si trovano in enoteca. Ma come spesso mi capita, avendo molti amici e fratelli di vino e fra questi alcuni sono calabresi, prima o poi qualche bottiglia “diversa” riesco a rimediarla.
Ma veniamo a noi.
Cirò Rosso Classico Superiore Riserva 2010 di ‘A VITA, una piccola e nuova azienda (2008), biologica certificata. Il vino ha un colore rubino scarico con unghia granato, intenso nei profumi di frutta rossa matura, vira poi lentamente sullo speziato e sull’humus. Tannini nobili non ancora perfetti. Buona sapidità e discreta morbidezza. Buono/Ottimo.
Cirò Rosso Classico Superiore Aris 2011 di ARCURI, piccolissima azienda poco più di 7.000 bottiglie, biologica certificata. Rosso granato, trasparente. Profumi intensi e persistenti di natura sostanzialmente dolce (confettura, cioccolato). Struttura imponente ma equilibrata, veramente un gran vino. Ottimo/Eccellente.
Cirò Rosso Classico Superiore Volvito Riserva 2010 di CAPARRA & SICILIANI, azienda fra le più grandi e antiche del comprensorio, la produzione è sia convenzionale che biologica e biodinamica. Il vino di colore granato, all’olfazione presenta profumi dolci ed eleganti, di cannella e liquirizia su tutti, tabacco da pipa ed humus. Tannini potenti ma buoni, molto sapido, persistente. Ottimo.
Cirò Rosso Classico Superiore 2011 di COTE DI FRANZE, azienda piccola e nuovissima, biodinamica. Il vino è di un bel colore granato, trasparente, molto intenso all’olfatto dove emergono note fruttate (ciliegia e fichi) e tostate (caffè), e poi una classica liquirizia. Tannini giusti ancora in evoluzione, equilibrato e persistente. Ottimo.
Cirò Rosso Classico Superiore Colli del Mancuso Riserva 2011 di IPPOLITO 1845, azienda fra le più antiche nonché grandi dell’intera Calabria, biologica. Classico granato, frutta rossa matura e fiori rossi. Profumi delicati ma alla gustativa la sapidità, caratteristica del vitigno, è un po’ sopra le righe, comunque un vino piacevole. Buono.
Cirò Rosso Classico Superiore Duca San Felice Riserva 2012 di LIBRANDI, forse la più grande azienda calabrese sicuramente la più famosa alla quale si deve, senza il minimo dubbio, la “rinascita” dell’intero comparto vitivinicolo della regione. Produzione convenzionale. Il vino si presenta con un colore classico granato e con profumi di frutta rossa matura e di fiori rossi (rosa sostanzialmente), per poi virare sullo speziato. I tannini sono piuttosto “squilibrati” ed è questo l’unico neo del vino, per il resto una buona sapidità tipica del vitigno e del vino. Probabilmente si farà, ai posteri…… Buono.
Cirò Rosso Classico Superiore Krimisa 2012 di ZITO, azienda medio-grande a produzione convenzionale. Vino dal colore rubino scarico, trasparente. Profuma di confettura di more e di rosa. Tannini al posto giusto, fresco e sapido invitante alla beva. Un bel vino. Ottimo.
la degustazione è andata piuttosto bene, i vini sono quasi tutti compresi in una fascia di punteggio fra gli 83 e gli 89 (metodo AIS), ma abbiamo assaggiato sicuramente i migliori, gran parte del vino prodotto sotto questa denominazione è ben al di sotto di uno standard accettabile. C’è ancora molto da fare ma la strada intrapresa lascia ben sperare, soprattutto i giovani sembrano avere le idee chiare e…… i giusti attributi.
Alla salute, fratelli
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