Sagrantino, il vino dei miracoli
Lo ammetto senza infingimento alcuno, ogni volta che mi capita di parlare o di scrivere di vini o di territori che riguardano l’amata terra dell’Umbria sento un trasporto particolare, forse perché è, in tutti i sensi, il “cuore” d’Italia sia geografico che storico-culturale e spirituale. Pur tuttavia questo luogo amato e ammirato da tutto il mondo non fa mai mostra di se come invece assai spesso capita alla consorella (meravigliosa) Toscana. Questa grazia e pudicizia mi hanno sempre attirato, insieme a un non so che di misteriosa follia che la pervade come tratto caratteristico delle sue genti.
Gli umbri, forse ancor di più dei toscani e dei laziali della Tuscia, hanno ereditato questo alone di mistero dal popolo antico degli Etruschi e, parimenti, i loro vini più rappresentativi, ossia l’Orvieto (di cui ho già detto) e il Sagrantino di Montefalco, oggetto di questo mio articolo, ne sono impregnati.
Il Sagrantino, rispetto all’Orvieto, al mistero delle sue origini ne aggiunge un altro: il “grado di parentela” con gli altri vitigni della Penisola. Come ho già avuto modo di dire non trovo così appassionante la “ricerca” delle origini dei vitigni, non fosse altro che, a quanto pare, si può dire di tutto e il suo contrario, tanto che nel corso degli anni ogni ricerca storico-ampelografica smentisce, in genere categoricamente, le asserzioni di quella precedente. Ciò nondimeno le “storie” che si raccontano sulle origini e sulle caratteristiche del vitigno appaiono, in questo specifico caso, piuttosto intriganti.
Partiamo dal nome. Come è facile intuire il termine “sagrantino” sembra derivare da “sagrestia” o “sacrestia”, la radice etimologica latina è comunque la stessa, ossia “sacer”, in poche parole “vino sacro” o “vino della sagra”, vino quindi usato solo per le feste religiose, specie durante il rito dell’eucarestia o in particolari e gioiosi eventi familiari come matrimoni e nascite.
Un vino che nasce importante, particolare, diverso da tutti gli “altri”.
Anche per il Sagrantino, sembra valere, come per l’Orvieto, la mia osservazione (scusate l’autocitazione) ossia che le versioni originali fossero sostanzialmente dolci (per l’Orvieto possiamo usare il termine più appropriato di “abboccato”).
La versione dolce e precisamente “passita” del Sagrantino ha una ragion d’essere nelle caratteristiche delle dimensioni, piuttosto piccole, dei suoi acini e che quindi, per natura, non riescono a dare raccolte abbondanti, ma d’altra parte sono ricchi di tannini e complessivamente possiedono un tenore in polifenoli fuori dall’ordinario,-secondo alcune indagini quasi il doppio di qualsiasi altra uva a bacca rossa.
I polifenoli essendo fra i “responsabili”, come ben sappiamo, del colore, dell’aroma e del corpo del vino, risultano in tali dimensioni estremamente “difficili” da contenere e da “educare”.
La versione “passita” rende più “facile” questo addomesticamento.
Certamente questa fu la scelta fatta nel Medioevo e nel Rinascimento, epoche, in genere, a cui si fa risalire l’inizio della coltivazione e produzione del sagrantino. Per la precisione la prima citazione dell’uva sagrantino si trova in un documento scritto del 1598, conservato presso l’Archivio Notarile di Assisi, anche se non appare improbabile che la sua coltivazione si possa far risalire intorno all’anno Mille.
Ma iniziamo il “giochino” che tanto appassiona: da dove proviene l’uva sagrantino ?
Secondo alcuni – viste le qualità organolettiche, le proprietà chimico-fisiche e la “non presenza” di legami di parentela con altri vitigni italiani -, le origini sono molto lontane e potrebbe essere stato importato dalla Grecia o dall’Asia Minore (Georgia ? Armenia?), si dice dai frati francescani, chissà forse dallo stesso San Francesco, non male come ipotesi, dato il nome !.
Secondo altri è il più autoctono dei vitigni italiani poiché coltivato solo in Umbria, anzi in soli quattro Paesi nel cuore dell’Umbria (Montefalco, Bevagna, Gualdo Cattaneo, Giano dell’Umbria e Castel Ritaldi) riconosciuti nella stessa DOCG.
Dov’è la verità ? Ritengo che non la sapremo mai e che, quindi, per paradosso sia “giusto” credere in ciò in cui ognuno vuole credere, personalmente mi affascina l’ipotesi del Poverello di Assisi, pur ritenendo il termine “autoctono” nello specifico caso del sagrantino quanto mai appropriato, data la ridottissima estensione del territorio in cui viene da sempre coltivato.
La prima volta che bevvi un Sagrantino di Montefalco fu circa 20 anni fa, in casa di amici di mia moglie, i quali sapendo la mia passione per i vini vollero farmi una sorpresa. Non ricordo, sinceramente, il produttore ma l’impressione fu notevole, da principio a dire il vero non totalmente positiva poiché l’elevato contenuto dei tannini mi aveva completamente “seccato” le gengive e il palato. Altra sorpresa fu la “densità” del liquido, quasi masticabile. I profumi furono inizialmente poco percettibili ma con il passare dei minuti la loro qualità e quantità aumentarono vertiginosamente: capii subito di trovarmi di fronte ad un grande vino e, soprattutto, estremamente diverso da tutti gli altri grandi vini di mia conoscenza.
Da allora, in varie occasioni, mi è capitato di bere del Sagrantino e mai, ad onor del vero, sono rimasto deluso, non scende mai nella scala dei valori sotto l’”ottimo” (valutazione A.I.S.). e questo il Sagrantino può condividerlo, in Italia, con solo 2 o 3 grandi vini.
Da cosa deriva questa grande qualità ? Come in parte già detto dalle proprietà dello stesso vitigno, dalla sua unicità, fors’anche dalla più che limitata estensione del territorio riconosciuto dalla DOCG (se non vado errato non raggiunge i 1.000 ettari), quindi pochi produttori, tutti animati da grandissima passione e altrettanto orgoglio di avere fra le mani questa sorte di “vino dei miracoli”.
Se unite a tutto ciò l’ambiente naturale-paesaggistico e storico-culturale in cui questo vino nasce capirete la sua “unicità” e il suo “segreto” appare svelato.
Ma veniamo alle degustazioni di Sagrantino. Vi confido che non sono state fatte in contemporanea ma diluite nel tempo (ultimi 4 anni) e, quindi, hanno un valore legato alla mia esperienza, a quanto ho scritto nei miei appunti e ai miei ricordi. Sono ben sette i Sagrantino di cui parlerò, i primi quatto nella versione secca e gli ultimi due in quella passita.
Non posso non iniziare da chi questo vitigno ha “riscoperto” e valorizzato dandogli, oggi si può dire senza tema di smentite, fama mondiale. Come avrete già capito parlo di Arnaldo Caprai e precisamente del:
Sagrantino di Montefalco Collepiano 2005 di ARNALDO CAPRAI, rosso rubino che vira decisamente verso un granato scuro quasi cupo, profumi intensi, ciliegia sotto spirito, bacca di ginepro, noce moscata e chiodi di garofano a farla da padrone, rosmarino, cacao, carruba, tabacco da pipa e altro ancora, consistente, tannini decisi ma “nobilissimi”, persistente è dir poco. Eccellente.
Sagrantino di Montefalco Chiusa di Pannone 2004 di ANTONELLI SAN MARCO, rosso rubino cupo, frutti di bosco in confettura, violetta appassita, eucalipto, tabacco, ginepro, balsamico. Tannini splendidi, molto persistente. Eccellente.
Montefalco Sagrantino Campo alla Cerqua 2006 di TABARRINI, rosso rubino scuro (sangue di piccione), molto consistente e persistente, complesso nei profumi dove emergono frutti di bosco, tabacco e caffè su un sottofondo di macchia mediterranea. Tannini robusti da ammansire. Ottimo/eccellente.
Montefalco Sagrantino Colleallodole 2007 di FATTORIA DI MILZIADE ANTANO, rubino cupo, profumi intensi e persistenti in evidenza sentori di spezie (noce moscata) e tostati (caffè), tabacco, foxi. Nota alcolica un po’ sopra le righe, soliti tannini robusti. Incredibilmente giovane, “lieviterà” nel tempo. Ottimo/eccellente.
Sagrantino di Montefalco 2006 di ROCCA DI FABBRI, rubino scuro con unghia granata, frutti di bosco e violetta in evidenza, erbe aromatiche (rosmarino) e spezie (chiodi di garofano), profumi intensi e persistenti. Ancora da equilibrare alla gustativa ma si farà. Ottimo.
Ed ora veniamo ai due passiti.
Sagrantino di Montefalco Passito 2005 di ADANTI, rosso rubino scurissimo, si apre all’olfazione con frutti di bosco, spezie (cannella), tabacco da pipa, macchia mediterranea, con un finale di dolcezza diffusa nell’aria. Gustativa gagliarda nei tannini ma estremamente godibile in tutto il resto. Superbo. Eccellente.
Sagrantino di Montefalco Passito 2005 di COLLE DEL SARACENO, rosso granato scuro (bellissimo), profumi intensi, complessi, dolci e persistenti, su tutto una notevole nota speziata, tabacco dolce, cioccolato fondente. Stupendo alla gustativa, fra i migliori di sempre. Eccellente. Mi permetto, cosa che non faccio mai, una piccola digressione sul proprietario dell’azienda, Francesco Botti e la sua splendida consorte, semplicemente per dire che poche volte ho trovato persone così gentili, umili e nel contempo consapevoli di possedere un nettare di vino, unico nel suo genere. Sono questi uomini e queste donne che fanno veramente grande un Paese, in primis il nostro Paese, così bello e assurdo.
Alla salute, fratelli.
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